C’è da troppo tempo molto fermento per i
problemi dell’immigrazione clandestina, i profughi che non lo sono, coloro che
sfruttano i finanziamenti, l’ingestibilità dell’accoglienza, la pericolosità
della presenza dei radicalizzati e potremo andare avanti ancora per molto. Però
poi, comunque la si voglia vedere, ci sono anche gli italiani a metà, quelli che
sono italiani agli effetti di legge, ma non lo sono del tutto non nel loro
contesto familiare e d’inserimento.
Quelli che già vivono delle diversità di
fatto nella società e che patiscono da un lato lo sguardo degli italiani originari da generazioni
e dall'altro la sottomissione alle regole che non sono italiane, ma dei paesi dai
quali provengono i loro genitori e che rimangono attuati nelle loro famiglie, anche in Italia. Già perché noi
poi, in Italia, lasciamo sempre e comunque a coloro che vengono da fuori di
imporre le loro regole. Non so se poi questo è giusto e fino a che punto lo
sia!
Tanto per fare solo un esempio di disagio, per coloro che provengono da certe realtà, pensiamo a Hina, la ragazza pakistana uccisa e sepolta
dal padre e dai cognati nel Bresciano, nell’anno 2006, quindi un tempo non
tanto lontano. La sua colpa era quella di non essere una buona musulmana, avere
un fidanzatino italiano e magari indossare dei jeans stretti alla europea. Allora possiamo
capire che c’è di fatto uno scontro tra i figli di migranti e le tradizioni
familiari locali, e questo faccia a faccia spesso è insanabile. Non deve essere
facile per questi italiani, che non lo sono di origine, lo sono di fatto, ma
forse vivono tra l’incudine e il martello. Basta interrogare un po’ google,
leggere qualche articolo di cronaca, ascoltare qualche intervista, vedere un
servizio televisivo e penso che poi diventa abbastanza agevole farsi una
propria idea. Tutti noi adulti abbiamo sempre pensato nella nostra fase adolescenziale
che i nostri genitori sbagliavo e che tutti quegli errori commessi da loro non li
avremmo mai fatti. Io sarò un padre migliore. Una immatura frase detta da tutti
i ragazzi 15enni.
Da
grande a mio figlio gli darò tutta la fiducia necessaria affinché faccia quello che
ritiene più giusto e così diventerà responsabile. Un pensiero sincero a quell'epoca,
ma poi? Diventiamo adulti e ci rendiamo conto che le regole non sono mai troppe
e servono a formare uno scudo attorno ai figli per proteggerli dai tanti
rischi. E’ così per tutti anche per coloro che vengono da altre realtà, altre terre, altre culture. Il genitore gli impone le sue regole, quelle con le quali è cresciuto e vissuto e pensa che sia la cosa migliore che si possa fare. E’ accaduto così
anche ai nostri cugini che sono stati a loro volta figli di immigranti fuggiti
via alla conquista di una vita migliore. Nascere e crescere in un mondo diverso
rispetto a quello dei genitori rende le cose più difficili, spesso complicate
che probabilmente diventano estranee sia ai genitori che agli amici autoctoni.
In tutte queste divergenze uno degli elementi che appare più controverso è
quello religioso, dove, a mio parere esasperatamente assurdo, qui in Italia, gli stranieri cercano
pure di prevalere. La fede religiosa può essere accettata e viene trasmessa di
padre in figlio come spiritualità cercando di raggiungere una dimensione equilibrata,
ma a volte diventa solo un decalogo di cose imposte o proibite. Il mondo dei
genitori può rappresentare una realtà irraggiungibile, impregnata di molti
racconti, a cui si guarda con fascino, curiosità e quella sorta di nostalgia
primordiale per la terra delle proprie origini, che forse non si vedrà più.
Però purtroppo a volte l’origine può rappresentare un grosso peso, una
sofferenza, una gabbia di appartenenza illiberale. E allora accadono episodi
imbarazzanti e situazioni di disagio. Ragazzi che si vergognano dell’abbigliamento
fuori contesto dei propri genitori, e o del loro italiano storpiato e mal
pronunciato, o delle evidenti differenze di benessere, eppure tutto questo non è
una colpa. Ma chi ha solo 15 anni questo probabilmente non può capirlo. Così come
probabilmente i genitori, che hanno vissuto un’altra vita, in un altro
contesto, non possono capire che il figlio che va a scuola e parla con i suoi
compagni, vuole indossare i jeans come gli altri, vuole andare in discoteca, vuole il suo fidanzatino, vuole avere il suo tatuaggio
e farsi il piercing. Ancora di più forse una ragazza musulmana che vive in
Italia, non ha la bramosia di diventare moglie in un matrimonio combinato, ma
vorrebbe studiare e farsi una sua posizione di donna libera. Invece i genitori
ripropongono i loro modelli, si ghettizzano nelle loro amicizie e frequentazioni, certi di essere nel giusto.
E’ tutto molto difficile, ci sarebbe bisogno
di trovare un buon equilibrio rispettando l’educazione ricevuta e la coerenza
con ciò che si impara a scuola e per strada nel
luogo che si è scelto di vivere. Altrimenti, domando a tutte quelle
persone che hanno scelto di vivere in Italia, perché uno sceglie quel posto anziché
un altro, se poi non sposa, almeno parzialmente, quella cultura?
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