"Il fatto che un'opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Infatti, a causa della stupidità della maggioranza degli uomini, è molto più probabile che un giudizio diffuso sia sciocco piuttosto che ragionevole"
Si può
avere sempre ragione. Basta reprimere con ogni mezzo il dissenso. Inizialmente è
uno strumento efficace per eliminare ogni forma di protesta contro il proprio
parere, ma presenta dei limiti, perché col tempo, rafforzano esponenzialmente le
ragioni di chi protesta. In questi casi spesso subentra la ragione del
“bastian contrario” e si finisce con l’ottenere il risultato opposto.
Quindi
è meglio cercare il consenso nella mente delle persone. Oggi molti riescono ad ottenere il consenso e
l’approvazione della gente pubblicando un semplice e divertente video su
youtube, dove si mostra un cane o un gatto seduto alla guida di una vespa. E cosa dire dei milioni di selfisti che cercano approvazione pubblicando le loro foto su istagram, in cerca di un like? Si può
ottenere un grande consenso con milioni di visualizzazioni. D’altra parte si
incontrano persone che hanno un loro pensiero e sentono l’onere di spiegare che
la linea del consenso, è cosa molto difficile da raggiungere, ma purtroppo a
volte questo si dimostra assolutamente ininfluente. Allora chi ha ragione?
In
entrambi i casi viene tirato in ballo il concetto di consenso ma basta
riflettere un attimo per capire che vi è differenza sostanziale. L’appoggio
della massa è frutto di un’arte composita ed elaborata, è una vera arte di
manipolazione del pensiero eseguita con fatti concreti, in modo da trasmettere
agli altri determinati messaggi, che non solo giustificano il proprio punto di
vista, ma addirittura lo rendono credibile e del tutto oggettivo. A volte basta
saper toccare le corde giuste della sensibilità individuale, e soddisfare le
richieste più impellenti da parte degli altri. Come dicono alcuni esperti
politici dei nostri giorni, è sufficiente saper parlare “alla pancia della
gente”. Io invece penso che per essere nel giusto, probabilmente sarebbe più opportuno parlare al
momento corretto e zittire a ragione veduta. Bisognerebbe sempre tenere presente il peso delle affermazioni che si fanno, rammentando che poi, in qualche modo, si deve rispondere per quanto si
sostiene precisando di avere in mente uno scopo ben preciso.
Si può
millantare di essere nel giusto, di affermare che quello di cui si dice è vero e
per questo si può persino essere accolti, eletti, rappresentati, senza che
questo sia necessariamente reale. Parlare agli altri onestamente, dire la
propria, diventa un mestiere come un altro, solo un po’ più articolato, perché diventa necessario sapere più cose senza vergognarsene, avere quella marcia in più, avere
la tendenza a fare collegamenti tra fatti e pensieri senza temere di essere
smentiti o biasimati, partire dalla complessità, senza confonderla con la
complicazione, avere il coraggio della parola contro corrente o inusuale. In
tanti modi si possono dire le stesse parole.
Non si deve aver paura di essere
tacciato di saccenteria, e non bisogna lasciarsi intimidire, prendendo su di sé
il peso della povertà mentale degli altri e provare a dimostrare che il proprio
pensiero ha un valore importante anche nelle decisioni e nelle scelte. Sulla
base di questo concetto, a volte interpretato erroneamente, spesso nel nostro
paese arriviamo ad avere la tendenza di confondere la risonanza con la sostanza
e questo errore spesso lo commettiamo quando scegliamo i politici a cui diamo il
nostro consenso, nell'appiattimento generalizzato del pensiero individuale e
nell'adeguamento di questi al pensiero degli altri. Chi riesce più di tutti in
questo disonesto intento sono colore che sposano l’uso del salotto televisivo
di programmi di grido, o ancora oggi più di ieri, l’uso delle piattaforme dei
social più diffusi. A volte il consenso lo si ottiene facilmente sparando nel
mucchio, senza prendersi neanche il tempo di mirare con cura. E’ sufficiente usare
frasi fatte del tipo “i politici sono tutti ladri”, ma poi? E’ più coraggioso
dire quello che si pensa senza nascondersi dietro nessuno e senza confondersi
nella folla degli interlocutori, dove tutti hanno detto e nessuno ha parlato. Il consenso onesto è cosa molto difficile.
Purtroppo l’esperienza insegna che a volte
nella scelta è più saggio essere o professarsi come gli altri, sciocchi o
ciechi pur di non essere considerati la pecora nera, quello criticato alle
spalle, quello ritenuto il colpevole di tutto. Però gli altri anche se sono la
maggioranza e sono uniti nelle loro idee, non necessariamente hanno ragione. La
verità non risiede sempre nella maggioranza. In merito la celebre Oriana Fallaci una volta ha scritto: "A volte la ragione è da una parte sola, non necessariamente nel mezzo". A volte bisogna pur avere il coraggio
di seguire sé stessi, e non gli altri, perché siamo unici e irripetibili. Se
segui irreparabilmente le informazioni che ti giungono dai social, dagli amici,
dagli altri, avveleni la tua mente, diventi come tutti gli altri, una cellula
insignificante di una massa uniformata, tutti con gli stessi pensieri, gli
stessi modi di fare, gli stessi abiti, gli stessi cellulari e gli stessi hobby.
Uno qualunque, uno come tanti. Se si
vuole essere liberi bisogna avere il coraggio di essere deontologicamente
antipatico agli altri, affermando di non credere al ricatto della consolazione
e della lamentela, oppure del luogo comune. Se si vuole ottenere consenso popolare, invece, bisogna dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire, quello che
gli altri si aspettano che diciamo, quello che tutti gli altri ritengono giusto.
Vi riporto di seguito il testo di una significativa storia sull'argomento. A voi il significato!
LA STORIA DEL RE FOLLE
Questa storia è tratta dal libro di Paulo
Coelho, pubblicato nel 1999 dal titolo: Veronika decide di morire
“Un potente stregone, con l’intento di
distruggere un regno, versò una pozione magica nel pozzo dove bevevano tutti i
sudditi. Chiunque avesse toccato quell’acqua, sarebbe diventato matto.
Il mattino seguente l’intera popolazione andò
al pozzo per bere. Tutti impazzirono, tranne il re, che possedeva un pozzo
privato per sé e per la famiglia, al quale lo stregone non era riuscito ad
arrivare. Preoccupato, il sovrano tentò di esercitare la propria autorità sulla
popolazione, promulgando una serie di leggi per la sicurezza e la salute
pubblica. I poliziotti e gli ispettori, che avevano bevuto l’acqua avvelenata,
trovarono assurde le decisioni reali e decisero di non rispettarle.
Quando gli abitanti del regno appresero il
testo del decreto, si convinsero che il sovrano fosse impazzito, e che pertanto
ordinasse cose prive di senso. Urlando si recarono al castello chiedendo
l’abdicazione. Disperato, il re si dichiarò pronto a lasciare il trono, ma la
regina glielo impedì, suggerendogli: – Andiamo alla fonte, e beviamo
quell’acqua. In tal modo saremo uguali a loro – . E così fecero: il re e la
regina bevvero l’acqua della follia e presero immediatamente a dire cose prive
di senso. Nel frattempo, i sudditi si pentirono: adesso che il re dimostrava
tanta saggezza, perché non consentirgli di continuare a governare?
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