DE BREVITATE VITAE DI LUCIO ANNEO SENECA
Lucio Anneo Seneca ha spesso fatto riflessioni sul tempo che inesorabilmente passa e sull’uso che ne facciamo, attribuendo il valore all’esistenza. Ritenuto uno degli intellettuali più lucidi dell’antichità. Nella sua opera “De brevitate vitae” Seneca affronta un paradosso apparentemente moderno: l’uomo sembra non avere mai abbastanza tempo, eppure spreca gran parte della sua vita in quello che è superfluo, inutile e illusorio. Ed io in questa considerazione mi ci ritrovo pienamente.
Lucio Annéo Seneca nasce il 21 maggio dell’anno 4 a.c. a Cordoba, capitale della Spagna Betica, una delle più antiche colonie romane fuori del territorio italico. Si era trasferito a Roma negli anni del principato di Augusto: appassionato all'insegnamento dei retori, divenne assiduo frequentatore delle sale di declamazione. Sposò in giovane età una donna di nome Elvia da cui ebbe tre figli.
Lucio Anneo Seneca: il desiderio del futuro, il disgusto del presente per poi provare rimpianto per il passato
Secondo Seneca vi sono due atteggiamenti essenzialmente distruttivi dell’uomo: il desiderio del futuro e la rinuncia al presente. L’uomo si proietta così tanto continuamente in avanti, sperando che il futuro gli offra ciò che il presente non gli concede, e per farlo, finisce per l’ignorare e trascurare quello che invece ha nel presente. Questa ricerca continua, di non si sa bene cosa, diventa una forma di alienazione totale, una fuga da sé stessi. Ci si aspetta sempre qualcosa di meglio, senza vivere veramente il presente senza vivere la vita davvero. In questa assurda tensione tra ciò che si vorrebbe e ciò che si ha, si consuma l’esistenza dell’uomo. Vivere solamente proiettati nel futuro, secondo Seneca e nel mio piccolo anche secondo me, significa sprecare il tempo che ci è dato, senza goderne pienamente. In netto contrasto con l’atteggiamento appena descritto, Seneca propone un ideale di vita che ruota attorno alla consapevolezza e alla pienezza del presente.
Chi riesce a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, chi investe ogni ora di significato, raggiunge una forma di completezza esistenziale che lo libera dall’ansia del futuro e dalla delusione sconcertante dell’oggi. Il tempo non si può accumulare, né possedere, ma solo vivere.
Vivere con pienezza ogni momento, godere del tempo non come qualcosa che si consuma, ma come spazio di realizzazione interiore: questo è il segreto per trasformare la brevità della vita in una vita piena e soddisfacente. Non è il numero degli anni a definire una vita vissuta bene, ma la consapevolezza con cui si è vissuta. Seneca ci offre anche un’immagine di sicurezza interiore: chi ha vissuto bene, chi ha assaporato ogni momento con lucidità, ha già messo in salvo la propria vita. La felicità non dipende dalla ricchezza e dall’accumulo, né dal prolungamento cronologico dell’esistenza. Seneca chiarisce che non si vive a lungo solo perché si è vissuto a lungo: la vera longevità è quella dell’anima, non del corpo. Un uomo può arrivare alla vecchiaia senza aver mai vissuto davvero, senza aver mai posseduto sé stesso. Ed è quello che accade ad una grand parte di noi.
Le conclusioni secondo Seneca
A conclusione del brano, Seneca offre una metafora potente: quella della navigazione. Non basta restare a lungo in mare per dire di aver navigato molto. Chi è stato sorpreso dalla tempesta appena uscito dal porto, e trascinato qua e là dai venti, non ha compiuto un viaggio, ma è stato in balia del caso. Così è la vita di chi si lascia vivere: si muove, cambia, invecchia, ma non viaggia realmente. Senza una direzione, senza una scelta consapevole, il tempo si fa nemico, e la vita si trasforma in una deriva.
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