WALKING AROUND DI PABLO NERUDA

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In questa poesia puoi scoprire la triste esistenza degli esseri umani descritta nei versi di Walking Around, la poesia denuncia scritta da Pablo Neruda contro la carcerazione sociale di cui sono prigionieri tutti gli esseri umani del mondo contemporaneo. Walking Around (Andando in giro) è una poesia che propone una dura critica dell’autore verso il modo di vivere dell’uomo nella società che lo circonda.  Il poeta si sente di denunciare il sistema sociale esistente che crea, inevitabilmente l’alienazione negli uomini. Questo “Girovagare” per la città ecco che inizia a prendere forma motivato dalle forti influenze che il poeta inizia a vivere a Buenos Aires, dov’era arrivato come console cileno. Walking Around è stata scritta da Pablo Neruda a Buenos Aires tra l’ottobre e il dicembre del 1933, può essere associata al surrealismo, e fa parte di Residencia en la tierra (1933 – 1935 -1947), una raccolta di poesie nota per trasmettere i sentimenti di Pablo Neruda sulle situazioni sociali del

LA SOLITUDINE. IL VUOTO IN TASCA.


solitudine dell'anima che fa soffrire

La solitudine è una condizione umana nella quale l'individuo si isola per scelta propria, legata a vicende personali e accidentali della vita, oppure perché isolato dagli altri. Mi guardo intorno e nel mio tempo vedo tutti sempre immersi nella realtà. Sarebbe meglio dire nella loro realtà. Tutti illusi di vivere ed immersi in una bugia, ben consapevoli delle difficoltà di muoversi su quel terreno complesso e incerto della vita che vivono, eppure prigionieri di qualcosa che è simile al “vuoto nella tasca”.

La solitudine è diventata una malattia propria di questa epoca che affligge quasi tutti e alla quale evitiamo di pensarci troppo, illudendoci, così, che non ci sia. Forzati a vivere oppressi così come siamo, con la mancanza di pensiero e di riflessione in una società dove c’è sempre meno tempo e spazio per tutto e tutti. Troppo indaffarati, tanto che non vi è spazio per una pausa riflessiva vera, che anzi viene solitamente considerata dannosa per le mille attività da compiere. Oramai gli unici che dicono di "volersi prendere una pausa per riflettere" sono quei poveri tizi incerti, che voglio scaricare il proprio compagno e non  trovano il coraggio per dirglielo direttamente. Forse viene difficile perché ci siamo abituati troppo alla tecnologia ed a spegnere con un semplice tasto il nostro telefono, tablet  o pc, anche se non lo fa nessuno. E’ così semplice comportarsi con la oramai diffusa e generalizzata tecnologia che portiamo in tasca, o abbiamo in casa e sul posto di lavoro. Tutto il resto ci sembra complicato. E’ così comodo! 
Mi viene in mente quello spot pubblicitario comico di un'autovettura, dove una donna parlando con il suo collega in ufficio, racconta che ha trascorso il week end a chattare con gli amici, pensando stare a raccontare al suo collega di aver trascorso una fine settimana intenso. Siamo tutti presi in una sorta di ritiro spirituale dove la solitudine, che pur vorrebbe opporsi, viene sconfitta da una incessante fornitura di socialità fantasma, che fa procreare quel vuoto artificiale galoppante, che sembra il paradiso reale al riparo dall'ansia, dallo scontro, dai rumori e dal freddo. Qualcuno ogni tanto, ma in effetti sempre più di rado, si ferma un attimo distolto da chissaché e dice di sentirsi solo. La realtà non è quella di sentirsi soli ma è quella di essere in solitudine.  Di fatti lo siamo perché cerchiamo riparo, non in una relazione concreta e sociale con chi ci sta vicino, ma in una relazione che ormai si mostra cancellata, e cerchiamo riparo nella ingenua illusione di ritenere di essere presenti ovunque e con chiunque e di riuscire a soddisfare le esigenze di tutti grazia all'esistenza dalla fantastica rete telematica e di tutti i congegni che ci permettono di usarla. E più ci si sente soli e più si cerca riparo nel vuoto, un po’ quello che si dice simpaticamente “il gatto che si morde la coda”.
Quando cerco di far osservare questi dettagli non da poco, non riscuoto molto successo, anzi vengo solitamente additato come il pessimista no social che non vuole capire che le cose cambiano e che la società sta cambiando e che io mi dovrei adeguare, prima che sia troppo tardi. Eppure io penso che di essermi reso conto che la società è già cambiata. Io vedo piccini, adolescenti, giovani, grandi, adulti, anziani che vivono la loro quotidianità aggregativa ovunque sono – al parco,  a scuola, sui mezzi, pubblici, al ristorante, al cinema - priva di  dialogo e confidenze perché è diventato poco seducente, lo è di più se viene fatto virtualmente. Oggi si ha molta più probabilità di approcciare una relazione con una donna in rete, alla quale scrivere una comune e banale frase fatta, piuttosto che dirle qualcosa di persona se la si incontra al supermercato o al bar. Non vi è dubbio! E’ così!  Tutti penso che si rendono conto di vivere in solitudine ma l’unico mezzo che viene usato per cercare di sconfiggerla è ricorrere all'immersione virtuale che millanta l’apertura totale e incondizionata a ogni mondo, però rimanendo al proprio posto, ognuno per proprio conto, senza esser visto, senza essere giudicato, in una sana ed indiscutibile solitudine.  Vedo che solo tra i più grandi vi è a volte la volontà di stare insieme agli altri, promettendosi, magari solo per il tempo di una cena, di isolarsi dal “mondo” e condividere un po’ di tempo con gli amici presenti. Una boccata di vita che non può essere una cura, né una svolta, ma potrebbe essere un punto di partenza, che spesso si rivela solo un buco nell'acqua perché poi volenti o nolenti ci si ritrova circondati dalla solitudine soli e muti. Io penso di non avere più dubbi, oggi siamo certamente soli, non possiamo negarlo neanche a noi stessi, seppure abbiamo una fottuta paura di guardarla in faccia. Siamo soli e senza pensiero, incapaci di opporci.
Scambiamo milioni di messaggi al giorno con milioni di persone, ma di fatto viviamo in una solitudine effettiva, e avvilente, tutt'altro che falsa o inesistente. E’ solo che molti non se ne accorgono e si illudono che non esista.  Secondo me dobbiamo tentare di svegliarci, di guardare in faccia la realtà e di cominciare a muovere un primo passo verso questo cammino, necessario per riaccendere il pensiero. Prima ci si sforzava di mantenere nella nostra memoria un’idea, una barzelletta, una poesia, una ricetta. Oggi non lo facciamo più , nessuno sforzo. Quando ne abbiamo bisogno consultiamo google, è così semplice e pratico. La solitudine è diventata una malattia endemica che affligge quasi tutti e alla quale evitiamo di pensare troppo, per la mancanza di volontà di pensiero e di riflessione in una società dove c’è sempre meno tempo e spazio per indugi e pause. In certi casi il tempo per riflettere viene solitamente considerato uno spreca tempo dannoso  e da perdente, e lo stesso modo di dire una pausa di riflessione di solito è usato come stratagemma pere congedarci da chi ci è accanto. Oggi se ci sentiamo terribilmente soli, è perché di fatto lo siamo, e cerchiamo riparo non in una relazione sociale che ormai ci appare barrata dalla troppa tecnologia, ma per l’illusione di essere presenti sempre e ovunque grazie a un congegno che rappresenta effettivamente il nostro essere soli con noi stessi. Che peccato!
Dobbiamo barricare la nostra mente contro chi cerca di colonizzare ogni nostra scelta, movimento o pensiero. Abbiamo il dovere di attuare un pò di contro-movimento verso chi vuole vivere le nostre vite, guidandoci verso un inesorabile naufragio, mostrandoci un falso potere del'io, che si può ricevere dall'affermazione sui social. La solitudine è una bruta cosa.  Riflettiamo un attimo, cercando di capire se noi la nostra vita la stiamo veramente popolando, oppure la stiamo svuotando? E tu di che solitudine sei?

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